L'AMORE ADULTO ovvero LE QUATTRO PASSIONI DI BELISARIO VASQUEZ
Martedì 25 marzo 1958, ore 7 del mattino
Da una villa del quartiere residenziale immerso nell'Oak Park si muove lentamente una limousine e si dirige verso nord.
(E' più o meno l'ora in cui Attack si butta vestito sul letto e dorme due o tre ore, agitato, in attesa di una telefonata).
Nella limousine: un autista, un vetro divisorio completamente alzato e un signore corpulento, calvo, di circa sessanta anni, mr. Samuel Goldblum direttore del "Chicago Voice". Alle 7,25 l'auto scompare nel garage sotterraneo del giornale, si ferma dopo la prima rampa e mr. Goldblum esce per infilarsi nell'ascensore privato che lo porterà all'ultimo piano, direttamente nel vestibolo dell'appartamento a lui riservato. L'autista prosegue il viaggio percorrendo le rampe verso il basso fino alla porta di una fornitissima officina: è il luogo, a fianco dell'archivio generale, dove trascorre le giornate in solitudine. Si chiama Jacky , meccanico tuttofare, cambia la divisa con la tuta e viceversa quattro volte al giorno, una vita consacrata all'auto del direttore.
Quattordici piani sopra anche mr. Goldblum ha effettuato il primo cambio di vestiti. Affetto da una rara forma di eczema da paura della vita, al mattino e al rientro in ufficio nel pomeriggio prende un bagno caldo in vasca, sostituisce gli indumenti, compresa la camicia, e indossa un abito nero, spigato, lucido alle maniche e consunto sul dietro, conformato in ogni curva o gobba alle rotondità del suo corpo come un provvidenziale, inattaccabile carapace.
Ora è seduto alla scrivania, davanti all'interfonico e con la voce comincia a penetrare in ogni anfratto del giornale, animando i volenterosi e gelando i pigri, ricevendo informazioni e dando suggerimenti che hanno il tono di ordini inappellabili. Tutti lo temono e lo stimano, pochi lo hanno visto di persona, nessuno gli ha mai stretto la mano.
Nell'appartamento-ufficio può accedere solamente miss Lucille Kimbell, fisico e cervello da pin-up inguainati in abiti dignitosi, di taglio vecchio e grigi come il colore delle pareti. Miss Kimbell è addetta a tutto ciò che non può entrare o uscire dall'ufficio attraverso un cavo telefonico, ben poca cosa date le abitudini del direttore.
"A New York ti chiedono quanto possiedi" è l'inizio di un famoso detto americano, "a Boston che cosa sai, a Filadelfia chi era tuo padre e a Chicago?, a Chicago ti chiedono che cosa fai".
"E io cosa faccio?" si domandava sconsolata fra sé e sé miss Kimbell nelle ore di attesa di fronte al campanello luminoso della suite di mr. Goldblum.
"Non faccio niente, sono qui ad aspettare che il signor direttore mi chiami e non mi posso muovere perché quel maledetto campanello non suona, lampeggia, quando lampeggia, silenzioso, non ho telefono, solo il ricevitore dell'interfonico e, grazie a Dio, una sedia dietro un tavolino".
All'altro lato dell'anticamera-ufficio che era stata loro assegnata, Jodie, la dattilografa al piano, batteva a macchina, immobile, nel cono di luce della lampada. Non c'era niente di meglio per miss Kimbell che consumare la vista degli occhioni di cerbiatta appoggiata al davanzale della finestra, in pose talora scomposte e comunque riprovevoli se mai il direttore si affacciasse alla porta, ma questa era un'ipotesi da non prendere in considerazione. La giovane conosceva le abitudini mute e le persone di un certo numero di stanze del palazzo di fronte e in molti, uomini e donne la riconoscevano e la salutavano con gesti espansivi. In un camerone, due piani più in basso, vedeva sui mobili delle macchie colorate che non capiva cosa fossero, ninnoli, statuette, giocattoli, ma del proprietario nessuna traccia, almeno di giorno. Mancava un tassello nelle stratificate conoscenze di miss Kimbell e ciò le provocava un sincero disappunto, però, da segretaria di carattere lo vinceva, razionalmente, ogni volta che sedeva al tavolino e rifletteva sulla vita e sugli uomini: senza dubbio lupi, nella maggioranza, che importa se quello non si faceva vedere, uno dei tanti, di sicuro pronto ad aggredire e sbranare appena uscito dalle tenebre.
Non tutti, per fortuna, erano così e quando questo pensiero sfiorava la mente della ragazza, il sorriso le ritornava sulle labbra e tutto il corpo si illanguidiva nella contemplazione di un avvincente sogno.
Alle 11,30 una luce lampeggiante la fece sobbalzare sulla sedia e, come colta in fallo, Lucy (così la chiamava il fidanzato) si avviò verso la porta scura aggiustandosi la gonna e i capelli.
Bussò discretamente. "Miss Kimbell?" si udì dall'interno, "Sì, signore" - "Avanti!"
Nell'ordine del salone e del mastodontico tavolo impreziosito da un divisorio orlato di ottone, la segretaria notò a prima vista, di qua dal vetro opaco, una cartella aperta che offriva alla lettura il primo di una serie diseguale di fogli manoscritti. Ricordò che la cartella era appoggiata sul tavolo, chiusa, da due giorni, poi chinò il capo con deferenza e si dispose ad ascoltare.
"Si avvicini e si sieda, signorina" furono le prime parole e la lasciarono senza fiato "Le comunico che mi sento obbligato, per dovere professionale, a conoscere il contenuto di codesta lettera, mi farà la cortesia di leggerla ad alta voce durante il bagno terapeutico pomeridiano. Alle 15,30 precise. E' una prassi inusuale, ma motivata da ragioni di lunghezza della missiva e da miei personali problemi di salute. Conosce il fascicolo, buongiorno e grazie".
Ma il congedo la raggiunse sul dietro-front, nei pressi della porta: "Credo che per questa mattina non avrò più bisogno di lei".
Un animo sospettoso avrebbe avuto motivi per allarmarsi, non miss Kimbell, la dipendente di mr. Goldblum invitata a soggiornare nell'ufficio proibito, con la speranza di buttare l'occhio nei più ambiti ripostigli. C'erano invece ragioni per far festa e poi "grazie" mr. Goldblum non lo diceva a nessuno, nemmeno a Stepan Miszczinin, vicedirettore unico, il profeta di Dio in terra.
L'esule russo sul lavoro era uomo di assoluta durezza e d'inflessibile austerità, ma si rendeva più disponibile nelle relazioni private per cui si era preso il soprannome di Pink Poison o Bilama o Gillette, a seconda delle circostanze e in conseguenza degli sfaccettati gusti sessuali.
La segretaria girovagò avanti e indietro per le scale e i corridoi della redazione, poi entrò raggiante nella sala mensa, voleva raccontare l'evento ad un amico fidato, però non vide Jacky, il meccanico-autista e tutti gli altri avevano facce da subordinati indegni di una confidenza così importante.
Pranzò da sola, in un angolo, compresa nei suoi pensieri.
In quel momento Jacky, tra un viaggio e l'altro, aveva un lavoro arduo da sbrigare: mettere a punto la Ford di Attack per una missione in periferia. Avevano un appuntamento nel sotterraneo a metà pomeriggio.